Comunicato della Giuria del VII° premio nazionale di poesia
“Il Bottaccio”
La giuria comunica i risultati del concorso:
1° classificato: Loro e noi di Giovanni Caso da Siano (Salerno)
2° classificato: Clown di Anita Peloso da Vallarsa (Verona)
3° classificato: Le mie scarpe di Enrico Sala da Albiate Brianza (Monza Brianza)
Poesie segnalate:
Radici di Benito Galilea da Roma
Vendemmia di Andrea Grillotti da Montignoso (Massa Carrara)
Le mie radici di Daniele D’Ignazi da Ciampino (Roma)
Vecchio tramonto nel Piceno di Tullio Mariani da Molina di Quosa (Pisa)
Per diseguaglianze e simmetrie di Anna Elisa De Gregorio da Ancona
PRIMA CLASSIFICATA
LORO E NOI
I nostri ebbero cieli di silenzi
e il grido dell’ortica sulla pelle,
camminarono insieme, come foglie
spinte avanti dal vento. Arida terra
sarchiarono con dita insanguinate,
una luna d’anguria nella sera
per placare la sete. Ed era il sonno
giaciglio di frumento e di papaveri
ed era la parola ebbra di luce
sulle labbra assetate.
Oh quegli sguardi
limpidi e puri e caldi di speranza
e le mani di scorza e di fatica.
La pioggia penetrava fino alle ossa
quando l’inverno urlava il suo dolore.
Noi non sapemmo quanto fosse dura
la vita, avemmo corse per le vigne
e la fionda di legno con l’elastico
e il lieve vorticare della trottola
avanti casa.
Tu lo sai che l’alba
impallidisce i sogni e li disperde,
ma la memoria resta, come luce
che splende all’improvviso dentro l’anima.
Avemmo noi l’inchiostro tra le dita
e il fuoco dei bracieri per scaldarci
e lave di pensieri. D’altra tempra
siamo fatti, ma non di quercia e rovi.
Teniamo i nostri giorni in una lacrima
e una lanterna a rischiararci il cuore.
Giovanni Caso
2 CLASSIFICATA
CLOWN
G’ò vardà el circo ieri sera
e me son proprio godù.
Po…quando l’è rivà lu…!
Co ‘l naso rosso, le scarpe sgionfe
che varda in su, la giaca che ghe bala,
le braghe che ghe trema e che ghe casca,
tegnue su, da un par de triache
vecie, mole e strache, postè su la finta pansa…
E fin che i batea le man
m’è vegnuo en mente
‘n altro naso rosso che g’ò incontrà
l’altro giorno en ospedal.
Co’l naso rosso, le braghe larghe e sbambolè,
co na giacheta tuta arcobalen
girava par le stanse de i butini,
en clown
co’ en scolapaste par capèl
e cantando…”Trentatre, trentatre, trentatre”
el sgionfava colorati balonsini.
Svelte svelte, le son man le li intorcolava
che te fasei fatiga a capir,
ma in quatro e quatroto
eco fiori, girafe,gatini e can bassotto!
E intanto
i oci de i butini, nò i pensava più…
Anita Peloso
3 CLASSIFICATA
LE MIE SCARPE
Inzuppate
di tempo sprecato
nel fango dei giorni
pesano
le mie scarpe
ed è lento
il passo
sul sentiero del presente
dove corre veloce
la nostalgia del futuro.
Enrico Sala
SEGNALATE
RADICI
Anche alla terra è buio il mio ritorno
ma io so della quiete che ha chiuso questo viaggio,
in una notte di scale e di pensieri,
piena di neve forse
o delle naturali fughe che precorrono la morte.
Ho un abito di panno verde come gli occhi
del gatto che conosce la mia storia,
di me
gitano relegato a uno scritto e a un tempo
nel crescere rovistato dei fertili silenzi di un tripode.
È il nero assoluto di una notte
assoluta che porta ad ogni tegola lasciata,
ai naufragi che scuotono i passi delle lepri
sotto le lune di dicembre quando i venti
schiudono lo sguardo di mia madre.
Il passato fa parlare le chitarre
ma vivono di notte solo le giumente
mentre partoriscono con le orecchie calate
di contentezza.
E a noi neanche
l’occasione di un riscatto ai margini del bosco
dove è interrato Augusto lo zingaro
che faceva cestelli di vimini senza giunture,
e zoccoli a misura per cavalli importanti.
Nessuno può dire del confine
da sembianza
a sembianza
nel terrore dell’inverno entrato
come spirito oscuro per gelare le campane.
Neanche noi, ostinatamente vivi, taciturni,
in perenne esilio sugli argini dei fiumi
dove gli innamorati leggono il mondo.
E la follia del vino vecchio tarda
a chiudere la porta dell’altro secolo
che ci ha lasciato
come una casa disabitata per quieta speranza.
Benito Galilea
LE MIE RADICI
Dunque son qui.
Ho cercato a lungo cercato
le mie radici per strade cittadine
e per sentieri selvatici, percorsi
che portano infine a nulla, intorno
sento di aver perdutamente girato
a mo’ di mosca nel bicchiere vuoto
capovolto, vuoto come il senso
della disillusione, col capo volto
in basso, a compatir vagando
l’ostinazione d’ogni mio passo.
Quindi son qui.
Ho inseguito, per molto atteso,
assaggiato annusato vagheggiato,
nella forma limata del sasso non ho
colto il senso del tempo, non ho
le mie radici scorto, ma solo
lambito un’idea, saccheggiato
per un pensiero il campo intero
di tutto il sapere e il sentire,
tanto non ho trovato che nel cercar
perdere mi pare anche il motivo.
Ecco, son qui,
in questo angolo vegliato dai pini
a carezzar la pietra dura, si,
ma meno del guscio dell’anima mia:
“dunque che forma, che consistenza,
che trame hanno, le mie radici?”.
Nessuno risponde, nulla ritorna
al mio grido, che si confonde
a un aratro cigolante nella sera.
Spesso ho voglia di fermarmi e restare
abbracciato a una zolla di terra.
Daniele D’Ignazi
PER DISEGUAGLIANZE E SIMMETRIE
Cadono due petali
e la forma della peonia
è cambiata interamente
Murasaki Shikibu
Certe mattine di aprile ventose,
sotto i campi, il mare sfiora il sublime.
E per noi la paura di impietrirsi
per averlo guardato
(siamo guerrieri inermi
davanti alla medusa).
Nel mondo speculare,
proprio là dietro il sole, altri di noi
proveranno un’identica sorpresa.
C’è un solo mare in mezzo alle terre,
che gli orizzonti falsamente tagliano:
di quell’oltre nel mondo
vorrei testimoniare,
e di mattine ventose in aprile.
Tanti i corpi in catene,
scortati arrivano in un cellulare,
che si perde alla curva d’orizzonte.
Hanno costretto le lingue a separarci
per renderci nemici
(cadono i petali della peonia
per quel male, lo stesso in ogni luogo).
Un’arca insensata siamo su un monte,
naufraghi per un’identica sorte:
entrando nella pelle accidentale
troviamo carne e venature uguali.
Servono adesso parole comuni
per traghettarci in una sola mappa,
in un solo pronome.
Anna Lisa De Gregorio
VECCHIO TRAMONTO NEL PICENO
Un lieve paradiso di colline
inanellate in dolci cordigliere
appende all’orizzonte gaie trine
tenui e leggere.
Aromi di lontane primavere
e l’usata agrodolce nostalgia
ravvivano l’arcano tuo potere,
o terra mia.
Mi pervade l’incanto, la malia
dell’arioso danzare dei crinali.
Vasti filari in trame di armonia
varie ed uguali.
Il vivido garrire e il frullo d’ali
scemano lenti, l’ora si allontana.
Più non celebri gli Angelus usuali,
vecchia campana.
Pure mi manchi. L’eco tua lontana
accarezzava il giorno nella fine
spargeva un’ode candida ed umana
tra le colline.
Tullio Mariani
VENDEMMIA
Sigaretta in bocca
E cappello di paglia
Un Dio nel cielo
Contro cui si scaglia
Così tira avanti
Sigaretta e bestemmia
In attesa di Settembre
E di una nuova vendemmia
Le mani ruvide
Per il fumo gialle
Una pancia vistosa
Gli incurva le spalle
Certo vi fu un tempo
In cui stava molto meglio
Un sogno lontano
Seguito dal risveglio
Adesso che è nel bar
Un po’ di vin si versa
Ed ubriaca il ricordo
Di una donna persa
In un giorno di sole
Poi giunto al tramonto
In cui le disse addio
Senza rendersene conto
La sua vita non è altro
Che perpetuo mutamento
Una fragile nuvola
Sotto i colpi del vento
È un vecchio contadino
E con i piedi l’uva pressa
Anno dopo anno
Finché il vento non cessa.
Andrea Grillotti
Per maggiorni informazioni consulta il sito del Club Culturale LA VIACCIA:
www.laviaccia.org